“INTERNATIONAL ACTION APS”

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Chi ha la sindrome di Klinefelter o la sindrome di Turner, può diventare genitore ricorrendo all’adozione se crede nella bellezza dell’esperienza adottiva. Informarsi, riflettere, porre domande e, quindi, conoscere il mondo multicolore delle adozioni è fondamentale per essere genitori consapevoli e progettare un futuro familiare sereno.

Approfondiamo l’argomento grazie a Beatrice Belli, Presidente di International Action APS, un’Associazione che da 40 anni opera nell’ambito delle adozioni internazionali.

Breve presentazione di Beatrice Belli:
Sono Presidente dell’Associazione International Action, ma prima ancora sono madre adottiva.
Ho intrapreso il percorso adottivo con International Action (che allora si chiamava International Adoption) nel 2005 e da 15 anni sono mamma di due (ormai) ragazze indiane.
Ma se ci penso bene, sbaglio nel dire “da 15 anni”, perché una volta che diventi genitore, lo sei “da sempre” e non fa la differenza il modo in cui hai avuto i tuoi figli. Dunque loro sono da sempre le mie figlie (e non solo da 15 anni, che peraltro sono volati!).
La mia adozione ha riguardato due bambine grandicelle (avevano 10 e 7 anni al momento del loro arrivo in Italia). Non nascondo la preoccupazione iniziale di avere due figlie “così grandi”, ma devo dire che quella che temevo potesse essere una difficoltà, in realtà si è dimostrata una risorsa, tanto che, come sempre dico, sono state proprio loro che ci hanno aiutato a “diventare famiglia”! Ed intanto, più cresceva e si formava il nostro cammino insieme, più cresceva il senso di riconoscenza verso l’Ente che mi ha accompagnata nella realizzazione del progetto di genitorialità. Fino a che tale riconoscenza si è trasformata nel desiderio di cercare di fare qualcosa, nel mio piccolo, sia per l’Associazione stessa che per gli scopi che la stessa si prefigge di realizzare.
Da ciò il mio impegno in International Action che si protrae da una decina di anni e che spero possa continuare e dare bei frutti.

1- In Italia nel 1942, fu introdotta la possibilità di adottare minori di età. In base alla vostra esperienza in che modo è cambiato il mondo delle adozioni?
In passato ci si preoccupava di più di garantire il diritto di una coppia ad avere un figlio, piuttosto che quello di un bambino abbandonato ad avere una famiglia in cui crescere. Potevano adottare coniugi ultra-cinquantenni che non avevano figli, in modo da garantirsi l’assistenza per la vecchiaia o per trasmettere, con minori spese fiscali, il loro patrimonio…
Con la legge del 5 giugno 1967 n. 431, sull’adozione speciale, viene regolamentata per la prima volta l’adozione, ponendo al centro di essa il diritto del bambino ad avere una famiglia. L’adozione internazionale, però, non è stata presa in considerazione da questa legge, perché in Italia non era ancora diffusa a tal punto da essere ritenuta rilevante; il legislatore si è limitato a non vietarla.
La mancanza di regolamentazione in materia di adozione internazionale è durata fino al 1983, anno dell’approvazione della Legge n. 184 intitolata “Disciplina dell’adozione e dell’affidamento di minori”.
Con la nuova legge la competenza in materia di adozione internazionale è attribuita al Tribunale per i minorenni. Coloro che vogliono adottare un bambino straniero devono possedere gli stessi requisiti richiesti a coloro che adottano un bambino italiano: essere sposati da almeno tre anni, essere idonei ad educare istruire e mantenere i bambini che vogliono adottare e l’età dei coniugi deve superare di almeno diciotto e di non più di quaranta l’età.
Ma vi sono ancora notevoli differenze fra l’adozione nazionale e quella internazionale. Infatti, quest’ultima non è regolamentata ed è lasciata in mano alla coppia adottante che sceglie e decide a chi rivolgersi per ottenere l’adozione nel Paese straniero.
La coppia, al di fuori di qualsiasi controllo, è libera di agire autonomamente recandosi all’estero e rivolgendosi ad intermediari privati, spesso non qualificati e privi di scrupoli. I bambini adottati per questa via potrebbero essere stati rapiti, acquistati o estorti con la forza ai loro genitori. La legge apre così le porte ad un pericoloso fai da te.
Un’altra zona d’ombra di questa legge è quella della preparazione della coppia ad affrontare l’adozione. La preparazione dei futuri genitori adottivi è molto importante ai fini della riuscita dell’adozione internazionale. Si deve tenere conto dell’ambiente di provenienza del bambino straniero e, quindi, della sua diversa cultura, della diversa lingua, delle diverse abitudini alimentari. A tal fine la legge all’articolo 30 dice che il Tribunale prima di disporre l’idoneità della coppia deve effettuare delle indagini per verificare “la capacità degli aspiranti di diventare buoni genitori adottivi”. Il problema sta nel fatto che la legge non dice chi deve svolgere queste indagini e come. La legge 184/83, in definitiva, pur avendo il merito di aver regolamentato per la prima volta una materia assai complicata come l’adozione internazionale, non è riuscita a tutelare effettivamente la personalità del bambino e i suoi diritti.
La Convenzione dell’Aja del 1993, il primo importante accordo fra Paesi d’origine e Paesi di destinazione dei bambini adottati all’estero, è l’occasione, per l’Italia, di rivedere l’ordinamento giudiziario sull’adozione internazionale e di modificarlo adeguatamente.
Coloro che hanno sottoscritto questo accordo auspicano che in futuro l’adozione internazionale avvenga in un’ottica di collaborazione tra gli Stati che la praticano e l’obiettivo principale che si propongono è quello di garantire i diritti del bambino in stato di adozione. Il principio più importante sul quale si fonda la Convenzione è il principio di sussidiarietà che fa l’interesse del minore, in quanto stabilisce che un bambino può essere adottato da una famiglia di altra nazionalità solo se è stato dichiarato dalle autorità del suo Paese come bambino in stato di abbandono, e solo se le suddette autorità hanno verificato che non è possibile un’adozione nazionale. Secondo la Convenzione, l’adozione internazionale non deve essere la prima soluzione all’abbandono, poiché per il minore la soluzione migliore sarebbe quella di non lasciare il proprio Paese per non subire un ulteriore trauma che si aggiunge a quello dell’abbandono della sua famiglia d’origine; l’adozione internazionale deve, quindi, rappresentare l’ultima chance.
In questo contesto normativo le associazioni che in passato avevano assistito le coppie adottive si sono trasformate in Enti Autorizzati. E per essere autorizzati gli Enti devono possedere determinate caratteristiche che li renda idonei a fungere da intermediari tra la coppia adottante e il Paese d’origine del bambino e possono operare solo dopo avere ricevuto un’autorizzazione da parte delle autorità centrali del proprio Paese (in Italia la CAI – Commissione Adozioni Internazionali). La mediazione degli Enti è obbligatoria.
La Convenzione dell’Aja è stata ratificata dall’ordinamento italiano con la legge 31 dicembre 1998 n. 476, “Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, fatta all’Aja il 29 maggio 1993. Modifiche alla legge 4 maggio 1983 n. 184 in tema di adozione di minori stranieri”. La legge di ratifica, facendo proprio il testo della Convenzione, stravolge completamente il capo primo del capitolo terzo della legge 1983 n.184, intitolato “Dell’adozione di minori stranieri”.
Già da subito si possono scorgere i profondi cambiamenti rispetto alla precedente legge; infatti, nel secondo articolo si dichiara che le persone che vogliono intraprendere l’iter per l’adozione internazionale “devono presentare al Tribunale per i minorenni non più una domanda ma una dichiarazione di disponibilità”. Il legislatore ha, così, chiarito subito che adottare un bambino non è un diritto che la coppia può rivendicare, “che colui che adotta offre, non chiede, e tanto meno pretende. Il soggetto della procedura deve essere il bambino straniero abbandonato. È lui che ha il diritto ad una famiglia, ed è questo lo scopo dell’adozione”.
L’adozione viene, così, ad essere definita, una volta per tutte, come un atto di accoglienza verso un bambino abbandonato e non come la soluzione ai problemi personali o di coppia relativi alla mancanza di un figlio. Solo ragionando in quest’ottica potrà avvenire la completa accettazione del bambino straniero in seno alla famiglia.

2- Quali sono le vostre aspettative per il futuro e quali i vostri progetti per realizzarle?
Le adozioni internazionali negli ultimi 10 anni hanno visto una fortissima contrazione dei numeri.
Siamo passati da circa 6.000 adozioni all’anno (2010) a meno di 1.000 bambini accolti nelle famiglie.
Le ragioni sono molte: demografiche (si è ridotto il numero delle coppie -sposate- che possono adottare) la fecondazione assistita ed eterologa è oggi una diffusa pratica per realizzare un progetto familiare in presenza di difficoltà procreative, l’adozione ha costi impegnativi e i bambini che hanno bisogno di essere accolti sono più grandi e spesso con “bisogni speciali”, le adozioni nazionali nei Paesi di origine stanno crescendo (per fortuna) …
Nel futuro crediamo che dovremo fare i conti con una forte riduzione delle organizzazioni che accompagnano le coppie nel percorso adottivo e le adozioni saranno meno ma -ci auguriamo- fatte con attenzione.
Ma soprattutto abbiamo davanti moltissimi ragazzi e giovani adulti che chiedono sostegno, ricercano le proprie radici ed hanno bisogno di ricomporre le fratture con la propria storia che, spesso, l’adozione crea.
Su questo bisognerà lavorare: l’adozione comincia quando si torna a casa con il proprio figlio, anche se qualcuno continua a credere che in quel momento sia finita.

3- Cosa viene richiesto alle coppie che vogliono adottare un figlio? Quali sono i requisiti? Quali i tempi?
E’ la legge 184/1983 che norma i criteri principali per cui è possibile adottare: fondamentale è la differenza di età fra adottato e coppia genitoriale. I tempi variano a seconda del percorso che la coppia sceglie di perseguire e in relazione al Paese. I tempi possono variare da un minimo di 2 anni fino ad arrivare anche a 5 o 6 anni per portare a casa il proprio figlio

4- Adozione nazionale o adozione internazionale cosa, in sintesi, le caratterizza e in base a quali criteri una coppia, in genere, propende per l’adozione internazionale?
Difficile sintetizzare, molto dipende dalla disponibilità della coppia: le adozioni nazionali sono poche ma i tempi possono essere brevi se si ha una buona valutazione da parte dei Servizi Adozione e dei Tribunali, e una buona disponibilità; le adozioni internazionali sono molte di più ma in continua diminuzione e la disponibilità deve essere per bambini in età scolare o con bisogni speciali

5- Che consigli vi sentite di dare alle coppie che si accingono ad iniziare questo percorso?
Ci vogliono fiducia nell’associazione/Ente Autorizzato scelta, tenacia, pazienza, flessibilità/capacità di adattamento e una grande capacità di ascolto dei figli quando arriveranno.

6- Cosa comporta scegliere l’adozione internazionale e in che modo può essere rilevante la scelta del Paese di origine del bambino?
E’ indispensabile che verso il Paese di origine ci sia interesse, simpatia, perché con l’adozione internazionale ci si porta a casa un pezzetto di quel Paese insieme con il/la bambino/a che accogliamo. Molte informazioni sulla sua storia possono essere approssimative, a volte errate.

7- In che modo la vostra Associazione fornisce sostegno alla genitorialità?
International Action da sempre assicura percorsi di accompagnamento nel periodo preadottivo (formazione, sostegno psicologico, counseling) ma soprattutto nel periodo postadottivo, dopo l’arrivo del bambino/a nella nuova famiglia siamo presenti con i nostri operatori per incontri programmati (nei primi due anni) e poi ogni qualvolta la nuova coppia genitoriale ne sente il bisogno. Corsi di formazione e gruppi di auto aiuto fra genitori vedono la partecipazione di famiglie adottive anche molti anni dopo la conclusione dell’iter adottivo.

8- Alcuni genitori soffrono di stress post-adottivo o depressione post adottiva, come riconoscerle? Quali strategie adottare per prevenire tali condizioni? Cosa fare per curarle? Se non curate quali possono essere le conseguenze?
L’adozione non è un’esperienza in cui sempre tutto si realizza con gioia e amore. I primi tempi sono un periodo di scoperta e conoscenza reciproca, di aggiustamento nelle rispettive abitudini, dove il genitore fa i conti con le proprie aspettative su cosa fosse l’adozione e come sarebbe stato un bambino, e le caratteristiche del bambino reale che da quel momento vive con lui/lei. Questo incontro a volte può essere uno scontro non piacevole, con difficoltà e frustrazioni.
Avere un riferimento con cui confidarsi e confrontarsi nel primo periodo è essenziale, perché gli aspetti di vita coinvolti e messi in discussione sono molti e possono riguardare il singolo genitore o anche più membri del nucleo familiare e modalità di comunicazione inefficaci.
Rischi possibili: crisi di coppia o espulsione del bambino.
Come “curare” queste situazioni? Cogliendo gli spazi di confronto, ad esempio con l’associazione che ti accompagna, per rileggere la nuova quotidianità e darle un diverso significato che apra alla scoperta dell’altro e a darsi tempo.

9- I bambini adottati hanno subìto un abbandono quali sono le conseguenze più comuni e cosa devono sapere i genitori per aiutarli?
Oppositività, diffidenza, modelli di attaccamento disorganizzati, ritardi di sviluppo sia fisici, che emotivi che sociali. I genitori devono essere consapevoli del fragile passato da cui i bambini possono arrivare e che il comportamento è dettato da questa fragilità e non limita la possibilità di una creazione di relazione significativa nel tempo. I bambini hanno bisogno di tempo per apprendere nuovi modelli.

10- È utile che le coppie in attesa, conoscano le origini dei figli?
È utile e necessario che le coppie adottive abbiano tutte le informazioni sulle origini dei propri figli. Spesso però non è dato di conoscere molti aspetti del passato e delle origini dei figli, soprattutto quando si ha a che fare con proposte di bambini/e abbandonati. Frequentemente le informazioni sulle origini passano esclusivamente attraverso il racconto dei figli. E i figli parlano di questo solo se c’è qualcuno davvero disposto ad ascoltare ed accogliere il proprio racconto senza giudicare.
Inoltre, la continuità fra passato e presente e quindi il legame con il Paese d’origine è un elemento di connessione della storia del bambino indispensabile alla costruzione di una equilibrata identità nel figlio. L’associazione sostiene e promuove occasioni di approfondimento sul Paese in cui una coppia è in attesa proprio per avvicinare la famiglia alle origini del bambino, affinché la famiglia adottiva sia poi un’unione delle due culture.

11- Quali sono le dinamiche e le problematiche di chi viene adottato in età pre-scolare?
Si crede, erroneamente, che più il bambino/a è piccolo, più sia semplice l’adozione. Ma bambini/e molto piccoli possono non avere maturato la capacità di creare legami di attaccamento, che sono quelli che rendono possibile e facile la costruzione di relazioni (in primis con i genitori).
Inoltre i bambini più piccoli sono spesso portatori di bisogni speciali più importanti, soprattutto dal punto di vista sanitario o psicologico.

12- Che consigli dà ai genitori per sostenere nel percorso scolastico i propri figli?
Consigliamo pazienza, non avere fretta, non precipitarsi ad inserire un bambino/a a scuola, dargli il tempo di affondare le radici nella nuova famiglia, non avere pretese rispetto alle performance scolastiche. Il primo anno serve ad avviare processi di inserimento, integrazione, bisogna essere inclusivi con dolcezza. Lavorare sulle relazioni con i coetanei, nel gruppo classe, poi i risultati verranno. I bambini/e recuperano e si mettono in pari con i compagni se possono vivere questa esperienza senza pressione e ansia.
E nessuno venga a dirci “lo abbiamo inserito subito a scuola perché ce lo chiedeva lui”. Cosa ci aspettiamo che chieda un figlio che arriva da un orfanotrofio, se non di andare nel posto che assomiglia di più al luogo da cui proviene, di stare in mezzo ad altri bambini ed evitare la faticosa relazione con due adulti che conosce appena e che parlano una lingua diversa? Pazienza, tenerezza, “perdere tempo” con lui/lei. Portarlo ad esplorare questo mondo, insegnargli i primi passi in una nuova lingua. Non è forse quello che fanno tutti i genitori?

13- In che modo la legge 107 del 13 Luglio 2015 garantisce sostegno agli alunni adottati?
La lg.107, prevedendo maggiori autonomie e la possibilità di realizzare progetti mirati ai propri bisogni e a quelli degli studenti, può offrire l’occasione di attivare processi virtuosi per l’accoglienza, l’integrazione e il sostegno di bambini/e che arrivano da Paesi e culture lontane.
Noi lavoriamo con diverse scuole e gruppi di insegnati per favorire la comprensione dell’adozione anche nei bambini.

14- Quali sono, dal vostro punto di vista, le dinamiche e le problematiche per chi viene adottato in età scolare?
Storia, lingua, apprendimenti scolastici e la scuola in generale perché è un inserimento che avviene abbastanza repentinamente nelle famiglie e da un lato coinvolge il poco tempo riservato alle relazioni familiari e dall’altro c’è la questione che la scuola deve essere preparata alle peculiarità di questi bambini.

15- Quali sono le necessità più comuni dei genitori adottivi?
Essere rassicurati sulle loro competenze, sulle loro capacità di essere buoni genitori.
Molti chiedono il “libretto di istruzioni” del figlio/a, per poi scoprire che sono i figli stessi ad insegnarci a fare e diventare genitori

16- Cosa consigliate ai genitori che vogliono favorire la ricostruzione dell’identità dei figli mediante la ricerca delle loro origini?
Suggeriamo un atteggiamento di apertura, rispetto dei tempi del figlio, dialogo, condivisione delle informazioni che si hanno a disposizione e sostegno nel dare un senso su quelle che non ci sono, sostegno nella ricerca.
Accogliere l’ambivalenza che può esserci da parte del figlio.
Attivare una rete di supporto informale (ad es altri ragazzi adottati dallo stesso Paese) e formale (enti/istituzioni competenti)

17- Di adozioni fallite si parla poco, tuttavia è un fenomeno su cui è bene porsi degli interrogativi.
Di fallimenti adottivi si parla, anzi forse si parla a volte in modo inopportuno. Il fenomeno è di sempre maggiore interesse perché sempre più attenzione viene posta alle modalità con cui si realizza un’adozione. Un’organizzazione come la nostra ha sempre accesi questi interrogativi per individuare i fattori di rischio e attivare possibili strategie di prevenzione e di risposta alle situazioni in difficoltà. I fallimenti adottivi sono una bassa percentuale delle adozioni, ma ciò su cui vanno poste più attenzioni è il benessere generale delle famiglie adottive e le situazioni di possibili crisi adottive.

18- Ricordate casi emblematici che hanno determinato il fallimento adottivo? Cosa possiamo imparare da questi casi?
Prima di rispondere bisognerebbe provare a definire che cos’è un fallimento adottivo.
Noi crediamo che un fallimento adottivo sia tale se si compie nei primi anni dall’arrivo del bambino/a. Oserei dire i primi 2/3 anni. Poi è un’altra cosa. E’ un fallimento genitoriale quando un adolescente scappa da casa o quando i genitori e i figli non si parlano più? Come definiamo queste situazioni nel caso di figli e genitori biologici? Non abbiamo avuto riscontro negli ultimi 15 anni di fallimenti adottivi come li ho definiti qui sopra. Abbiamo avuto notizia e abbiamo lavorato su profonde crisi all’interno della famiglia, crisi in cui i genitori e i figli non riuscivano più a trovare uno spazio di relazione e di convivenza. Alcuni casi sono stati anche drammatici. Erano fallimenti adottivi? Non credo, ma certamente l’adozione era uno dei nodi intorno a cui si sviluppavano i conflitti (una questione reale o un pretesto?).
Quello che ha caratterizzato le crisi (perdonatemi se le chiamo così) nelle famiglie adottive è stato prevalentemente un atteggiamento di grande rigidità, di dischiarata disponibilità al confronto a cui seguiva una sostanziale incapacità di ascolto, a mettersi nei panni dell’altro.
Userei una metafora per spiegarmi meglio: una famiglia è come una barchetta. Fino a quando il mare è calmo e a bordo ci sono solo due persone (la coppia), tutto è più facile. Quando sale un terzo (il figlio, comunque arrivi) tutti devono spostarsi per trovare un nuovo equilibrio. Pretendere di mantenere la propria posizione/il proprio posto avrà come unica conseguenza il ribaltamento della barca. Ecco, la rigidità nell’interpretazione del proprio ruolo e l’incapacità di ascolto (autentico) sono le premesse per una crisi familiare.
Nelle valutazioni prima di iniziare un percorso adottivo noi cerchiamo di capire se la coppia è capace di flessibilità, capacità di ascolto, pazienza…. se sono risorse presenti nella coppia, probabilmente saranno buoni genitori, poi, nella vita, non è sempre colpa dei genitori.

19- Qual’é l’importanza di un’Associazione come “INTERNATIONAL ACTION APS” ?
L’importanza di International Action è la stessa di moltissime altre associazioni che lavorano (bene) andando a coprire settori in cui ci sono dei vuoti, in cui manca la presenza di Servizi pubblici, dove lo stato non può o non riesce ad arrivare:
in Italia dove troppo spesso le coppie e i genitori devono trovare da soli strumenti e strade per sopravvivere ai momenti di fatica, soprattutto se i figli mostrano difficoltà o in periodi particolari della loro vita.
Se poi i figli sono maggiorenni e non rientrano nelle categorie prese in carico dai servizi, spesso c’è solitudine e abbandono.
Noi, come altri, cerchiamo di esserci.
E all’estero, dove, per quanto riguarda l’adozione, solo realtà radicate e con un’importante rete sul territorio del Paese può accompagnare una coppia e garantire il rispetto della legalità e della trasparenza, che siamo convinti siano un aspetto essenziale soprattutto quando si parla dei bambini che diventeranno i nostri figli.

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20- Tempo addietro la vostra Associazione si chiamava; “INTERNATIONAL ADOPTION”. Come mai avete cambiato nome? In cosa consiste la differenza?
Il nostro nome era profondamente connotato, rappresentava quanto facevamo ed eravamo in origine (quasi 40 anni fa): un’associazione nata da genitori adottivi per aiutare altre coppie a diventarlo.
Fin da subito International Adoption ha iniziato a realizzare Sostegni A Distanza e progetti.
Alcuni di questi restano un fiore all’occhiello dell’associazione.
Le adozioni (soprattutto in India) erano numerose e il nostro nome una garanzia.
Oggi International Adoption fa ANCHE adozioni. Molte meno di un tempo pur continuando a farle con grande attenzione e cura nei confronti dei bambini e delle coppie.
Ma il suo nome riduce e semplifica la complessità e l’articolazione del suo operato, a cominciare dalle attività di cooperazione e dai progetti di sussidiarietà.
Nei Paesi stranieri in cui l’adozione non è realizzabile, o non ha una buona reputazione, rischiamo di essere visti come coloro che promuovono attività di cooperazione ma in realtà perseguono le adozioni.
Anche in Italia la semplificazione danneggia il nostro operato, riduce tutto ad una sola cosa: sempre e solo adozioni, impedendo all’impegno sulla tutela dei diritti, alla lotta contro le povertà educative, ai servizi erogati a sostegno della genitorialità e con la possibilità di dispiegarsi in tutta la loro potenzialità.

21- Quali progetti state portando avanti e quali iniziative vi proponete di realizzare in futuro?
I nostri progetti sono orientati soprattutto verso il post adozione, nella vicinanza e sostegno alle famiglie e ai ragazzi adottati, per sostenerli nel percorso verso l’età adulta, verso l’autonomia e nei loro progetti di ricerca delle origini.
Nello stesso tempo stiamo investendo molto sui progetti di cooperazione a tutela dei diritti dei minori e delle persone più fragili nei Paesi in cui operiamo: India, Nepal, Zimbabwe, Nigeria, ed altri a cui ci siamo da poco affacciati.

22- Collaborate in sinergia con altre Associazioni finalizzate all’adozione?
Si collaboriamo con gli Enti/Associazioni che aderiscono al coordinamento Oltre L’Adozione.
Nel 2004 un gruppo di associazioni costituì il Coordinamento “Oltre l’Adozione” (OLA) allo scopo di promuovere e difendere una cultura dell’adozione internazionale rispettosa del criterio di sussidiarietà indicato nella Convenzione de L’Aja del 1993. OLA è un punto di riferimento culturale e politico nei confronti delle istituzioni italiane ed estere, del mondo della comunicazione e delle varie componenti della società civile. Nell’interesse dei bambini e delle coppie, ogni adozione è preparata, curata e accompagnata alla sua conclusione ed anche oltre perché l’adozione è un bene comune.

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Intervista rilasciata da Beatrice Belli, attuale Presidente dell’Associazione “INTERNATIONAL ACTION APS” al Gruppo SVITATI 47

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Approfondimento: STATUTO DI INTERNATIONAL ADOPTION APS

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